BIOGRAFIA DI FRANCESCO MARIA ACCINELLI
Francesco Maria Accinelli nacque a Genova nel borgo di Prè il 23 aprile del 1700[1]. Avviato agli studi letterari e teologici, venne ordinato sacerdote nel 1732[2].
Fu un poligrafo: scrisse opere di carattere storico-geografico riguardanti la repubblica di Genova. Ricercò documenti negli archivi pubblici, privati, parrocchiali e monastici, ricavando una notevole mole di notizie su vari argomenti. Il suo interesse per la storia genovese si concentra in particolare sulle tematiche ecclesiastiche riguardanti la chiesa metropolitana: nelle sue opere, per esempio, si trovano le serie cronologiche dei presuli — affiancate a quelle dei dogi —, l’elenco dei Sinodi diocesani e provinciali, la storia sull’origine delle confraternite e la storia dell’insediamento degli ordini monastici in Liguria.
Redisse opere di vario genere sulla storia locale: dalle congiure contro Genova, allo studio dell’araldica; dall’edificazione delle principali costruzioni della Superba, alle più importanti vittorie militari dei genovesi.
Un’altra materia di suo interesse era la geografia, per la quale, come egli stesso scrisse, si sentiva “assai inclinato”[3]. La sua formazione in questo campo fu da autodidatta: Accinelli asserì di non aver appreso “un’iota da alcuno Ingegnere o Professore d’Architettura”[4]. I suoi lavori comprendevano, oltre alla stesura di carte geografiche e alla realizzazione di planimetrie degli edifici più importanti, anche vedute dei principali centri abitati della Repubblica di San Giorgio. Nel 1732, ricevette l’incarico da parte del proprio governo di recarsi in missione in Corsica per compilare una mappa dell’isola — allora sotto il dominio della Superba — con lo scopo di essere utilizzata dalle truppe austriache che affiancavano quelle genovesi nella repressione di una grave rivolta nell’isola [5].
Prese parte attiva alla rivolta popolare, iniziata il 5 dicembre 1746, contro l’occupazione di Genova da parte delle truppe austro-piemontesi nel corso della guerra di successione austriaca; l’anno successivo disegnò delle mappe della Liguria per le milizie francesi, alleate della repubblica di San Giorgio durante questo conflitto[6].
Nel 1751, Accinelli stampò — anonimo e fuori dai territori della Repubblica — un Compendio delle storie di Genova. Nell’opera il sacerdote mosse accuse sia contro l’imperatrice Maria Teresa d’Austria sia contro il re di Sardegna per la contesa sul marchesato del Finale[7]. Accinelli ricordò che i Savoia erano ricorsi in passato anche alla congiura nel tentativo di sottomettere la Superba[8]. A causa di ciò, l’opera suscitò le proteste del marchese di Sartirana, l’ambasciatore piemontese a Genova[9]. Anche la classe dirigente della Repubblica non fu esente dalle critiche del religioso patriota: egli accusò di debolezza e viltà i patrizi, colpevoli di aver consegnato nel 1746 la città alle truppe austro-piemontesi senza neppure combattere. Dopo una breve indagine delle autorità locali, si scoprì che l’autore del Compendio era l’Accinelli; il governo genovese, infastidito dallo spirito antioligarchico e filopopolare dell’opera, ordinò che il 10 gennaio del 1752 ne fossero pubblicamente brucite in piazza Banchi tutte le copie reperibili[10]. In seguito a questo episodio, Accinelli si allontanò per alcuni anni dalla sua città, trovando riparo in Svizzera. Tuttavia, anche dopo il suo ritorno a Genova, il sacerdote continuò a denunciare la mancanza di coraggio e d’iniziativa del patriziato genovese, pubblicando un pamphlet, Artifizio con cui il Governo democratico di Genova passò all’aristocratico, col quale irrideva i privilegi dei nobili. Era stato il popolo a liberare la Repubblica dall’occupazione austriaca, ma a trarre vantaggio da quell’evento fu solo l’aristocrazia, considerata dal religioso incapace di governare.
Accinelli difese l’indipendenza della Repubblica anche sul piano culturale. Polemizzò con lo storico tedesco Johann Jacob Reinhard, autore di una Diatriba de jure Imperatoris et Imperii in Rempublicam genuensem (1747), nella quale si affermava la soggezione della Repubblica all’impero germanico. Il sacerdote rispose con un’opera, dall’eloquente titolo in latino di De nullo Imperatoris et Imperii in Rempublicam Genuensem iuredeque originaria et omnimoda Genuae libertate tractatus, affermando l’assoluta indipendenza di Genova dall’impero.
Pure il 1777, ultimo anno della sua vita, fu turbolento. La cessione della Corsica alla Francia nel 1768 fu da lui criticata con durezza. Anche se in via ufficiale Genova si era riservata il diritto di riscattare l’isola in un secondo momento, la situazione in Corsica era divenuta insostenibile per la Repubblica a causa delle continue ribellioni dell’ultimo quarantennio[11]. Nella Cronologia dei Pontefici Genovesi, delli Dogi, Vescovi, ed Arcivescovi di Genova, Accinelli ironizzò su Marcello Durazzo — il doge sotto cui era avvenuta la cessione dell’isola — che si risentì a tal punto da minacciarli di rompergli le braccia[12]. Il sacerdote dovette allora rifugiarsi sulle alture genovesi, nell’Oratorio di Nostra Signora della Provvidenza che a quel tempo godeva del diritto di asilo[13]. Grazie all’intervento di comuni amici, il doge perdonò Accinelli il quale morì poco dopo, il 7 ottobre, nella sua abitazione sita in vico Tacconi, al numero 17, nel quartiere di Prè[14]. Venne sepolto nella cattedrale di San Lorenzo, nella tomba comune della confraternita dei SS. Pietro e Paolo[15].